Recensione:"Due racconti"


“Due racconti”, Virginia e Leonard Woolf, pubblicato da Oligo Editore, traduzione a cura di Sara Grosoli è un piccolo scrigno contenenti due racconti, anzi si può aggiungerne un terzo quello della vita di Virginia e Leonard Woolf.

“Figlia del famoso critico letterario Leslie Stephon, crebbe in un ambiente intellettualmente stimolante, ma soffrì sempre per non aver ricevuto quella regolare istruzione superiore che, invece, era stata concessa ai suoi fratelli maschi. A tredici anni perse la madre: questo trauma scatenò la prima di quelle crisi depressive che segnano pesantemente la sua vita.”

In una contemporaneità che tutto offre sembra quasi irreale riscontrare in molte biografie di donne di spicco l’impossibilità di approfondire gli studi perché donne, ma queste rivoluzionarie con determinazione e sacrificio hanno lottato per ciò in cui credevano, rinunciando anche a molti privilegi, sociali e non. Virginia riuscì ad imporsi anche come figura intellettuale di spicco, iniziò con lo scrivere articoli e recensioni per poi, con il supporto del marito fondare una propria casa editrice, sempre alla ricerca di quella libertà intellettuale e di espressione che la contraddistingue. In questo volume si incrociano le vite dei due coniugi e i due loro racconti che evidenziano le differenze espressive e narrative dei due scrittori.

“Tre ebrei” Leonard Woolf

“Era una domenica e il primo giorno di primavera, il primo giorno in ogni caso in cui si sentiva almeno la primavera nell’aria. Entrava portata dal vento, dalla mia finestra con il suo respiro caldo, con il suo inevitabile piccolo tocco di tristezza. Mi sentivo irrequieto e non avevo nessun posto dove andare: tutti quelli che conoscevo erano fuori città.”

Leonard Woolf inizia con un impeccabile stile britannico per narrare la sua storia, in un’attenta e particolareggiata descrizione di quelle che sono le giornate inglesi nel suo divenire e il suo essere nei dettagli del posto. Ma dopo averne esaltato la bellezza tipica nello scorrere della lettura si insinua una evidente critica negativa nell’essere britannico, dall’esaltazione dello stile pacato e ordinato alla contrapposta ostilità nei confronti degli ebrei e ciò che si discosta dalla loro natura. Emerge infatti il senso di appartenenza alla comunità ebraica dello stesso autore, di cui ha ricevuto la rigida educazione e così, alla gratitudine di una primavera che si palesa nella sua frizzante bellezza, si contrappone il pensiero critico maturato in un’epoca vittoriana e dei suoi conflitti razziali e non.

“Il segno sul muro” Virginia Woolf

“Forse fu a metà di gennaio di quest’anno che per la prima volta alzai lo sguardo e vidi il segno sul muro. Per fissare una data è necessario ricordare cosa si è visto. Quindi ora penso al fuoco, al regolare velo di luce gialla sulla pagina del mio libro; ai tre crisantemi nella ciotola di vetro rotonda sulla mensola del caminetto. Sì, doveva essere inverno, e noi avevamo appena finito di prendere il nostro sé…”

Un salto spazio temporale e dall’arrivo della primavera dei borghi inglesi e gli spazi aperti descritti dal marito, ci si ritrova in uno spazio ridotto, chiuso, delineato in modo netto da una scritta mai notata prima, un libro dei fiori e il sé che rientra repentino in un’interiorità ben scandita. Un segno sul muro che guida il lettore in un viaggio introspettivo scatenato da una sequenza di riflessioni a catena che smuovono il lettore e lo avvicinano inesorabilmente al pensiero narrativo della scrittrice Virginia Woolf, riuscendo così a esprimere una fragile e vulnerabile figura di donna nella società britannica del tempo, che assume una forma di reclusione e limitazione con pregiudizi identitari e forme sociali poco consone ad aprirsi a una equità di genere. Inesorabile la penna dell’autrice che riesce a far emergere spaccati sociali con le sue delicate sfumature di pensieri e parole.

Simona Trunzo

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