Recensione: La memoria della vite

"La memoria della vite” di Massimo Granchi, edito Arkadia è un romanzo centrato sulle relazioni umane in una miscela di visioni e rapporti interpersonali che spaziano dai legami familiari, all’amore, all’amicizia, sviscerandone ogni tipo di pensiero e introspezione, evidenziando così il coraggio di mettersi in gioco nella vita e nei rapporti e di mettere in gioco la capacità di rinnovarsi in quello che è il ciclo della vita.

“Ascoltavo me stessa, i miei movimenti interiori, gli anfratti dell’anima, il rimestio dello stomaco. Ero pronta o no a cominciare la giornata? Molto dipendeva dai sogni fatti durante la notte o dal programma scolastico che avrei avuto davanti o da una frase rimasta sospesa il giorno prima in una conversazione piacevole scambiata con mamma e Gabriel, agganciata a una loro risata”.

I pensieri di Sole e la sua quotidianità che si intrecciano con le vite di Gabriel e Liliana, intreccio che si denota nella scelta magistrale nelle fasi di narrazione abilmente eseguita dall’autore Massimo Granchi, che alterna i tre protagonisti nella loro abituale vita giornaliera in pensieri, azioni e scelte e ancora, l’intreccio delle loro vite che cambierà vertiginosamente con un tragico evento che tutto spiazza e scompiglia.

I tre personaggi sono immersi nell’oblio di una continua ricerca del sé e della serenità, travolti dall’impegno di superare quegli ostacoli apparentemente insormontabili, che se visti da un altro punto di vista possono risultare del tutto effimeri rispetto al senso della vita. 

“Roma ci accolse con una luce pomeridiana intensa, precipitata su ogni cosa: morbida lungo i profili dei monumenti e gli alberi, fluida sui marciapiedi. Il viaggio in auto fu tranquillo. I ragazzi chiacchierarono e scherzarono per tutto il tempo. Dormirono anche in qualche tratto”.

Un viaggio reale e simbolico, il viaggio della ricerca della verità identitaria attraverso la memoria, intuire e carpire le verità nascoste in un percorso di introspezione e ricerca per aggiungere il vecchio al nuovo, o forse ricongiungere quelle parti mancanti che coesistono l’una con l’altra in un tutt’uno, che assenti muovono a una continua ricerca di una parte di sé come un vuoto incolmabile, così come per il protagonista Gabriel, che vive nell’ombra dell’abbandono del padre, con tutti gli interrogativi e vuoti che ciò può comportare. Una visione del mondo attraverso gli occhi dei protagonisti in una ingannevole rappresentazione della realtà e di sé stessi, nel riflesso di ciò che si vuole vedere piuttosto che nel riflesso di ciò che è.

“Lilli si materializzò tra i miei pensieri. Era in piedi, immobile sul terrazzo tra i vasi di olivo, con le mani ancorate alla ringhiera, lo sguardo vigile e benevolo verso di me. Mi sorrise. Mi fermai un istante e ci guardammo prima di proseguire”.

Un viaggio che si porta a compimento, ma in conformità con il ritmo della vita, una fine e un nuovo inizio in un moto perpetuo, una continua evoluzione che è intrinseca nella vita di ogni singolo individuo, in una successione di eventi che scandisce lo sviluppo umano emotivo e sensoriale in una evoluzione personale e interpersonale che ci rende singoli appartenenti a un tutt’uno con il prossimo.

Simona Trunzo

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