Recensione: Le sorgenti della Moldova

Le sorgenti della Moldava di Petra Klabouchová, edito da Edizioni le Assassine si può definire una perfetta miscela tra emozioni noir e temi storici in una trama che presenta vari punti di osservazione e ne sviscera ogni dettaglio come in un arazzo, una trama che dona un soggetto ben definito e il suo rovescio, che rappresenta un groviglio di fili e matasse indefinito.

Le sorgenti della Moldava diventano la scenografia di personaggi e storie che si intrecciano grazie all’abile ricerca e descrizione dell’autrice che si sviluppa nel racconto, in una terra di confine tra la Repubblica Ceca e la Germania, che nel suo rovescio della medaglia passa da una foresta quasi incantata attraversata da acque cristalline che all’opposto snoda un groviglio storico basato da odi atavici, violenza e segreti terrificanti.

“Il bambino con la cartella di scuola sulle spalle esita ancora. Fosse per lui, andrebbe. In effetti fa un freddo tremendo. E poi quando la mamma e lo zio litigano, a volte vanno avanti fino al mattino. E si dimenticano di tutto. Anche di lui. Però, quando lo zio scoprirà che è andato con Tibor Gigán, gliele darà di santa ragione. Lo picchierà con la vecchia frusta pasquale intrecciata con un ramoscello di salice, quella che tiene apposta per lui nell’armadio.”

Un bambino fuori dalle mura della propria casa, al freddo, mentre tutto è ricoperto da una coltre di neve gelida, ma è più sopportabile il gelo che si insinua nella pelle rispetto alle scene di violenza, delle urla e dei pugni che si stanno consumando all’interno della propria casa tra la madre e lo zio. Il dramma della violenza e dell’indifferenza nei confronti di un bambino che dovrebbe essere accudito, amato e protetto tra le braccia di una famiglia pronta a soccorrere, sorreggere e accompagnare verso un cammino della vita in cui si muovono i primi passi, attraverso gli occhi di un fanciullo che dovrebbero manifestare spensieratezza e gioia nei confronti della sua quotidianità, la stessa quotidianità che gli riserva solitudine, violenza e insicurezza. Una realtà domestica che purtroppo non è circoscritta al territorio di cui si svolge la narrazione, ma in ogni paese del mondo. Violenza ingiustificata che si consuma in quel nido domestico che tutto è tranne che sinonimo d’amore.

“Cosa può saperne del mondo? di Anna? Della Giustizia? Non ha mai dovuto guardare negli occhi dei genitori a cui hanno appena ammazzato il figlio, e neppure la faccia di chi ha brandito un coltello e se ne va impunito. I fatti? I fatti in sé non hanno ancora condannato nessuno. Ci vogliono le prove!”

Un viaggio al confine della giustizia e dei suoi tracciati imperscrutabili nell’effettuare ricerche al fine di far riemergere la verità dei fatti. Un cadavere, quello di una ragazzina che indossa un pigiama a righe con l’immagine di una stella di Davide cucita ed esposta ben in vista. Il commissario dovrà ricostruire un concatenarsi di eventi ed elementi, cercando di rompere quel terribile muro dell’omertà, un’omertà sordida che si abbarbica al silenzio del passato e del presente. Eventi che hanno segnato un popolo vittima di soprusi e violenza ingiustificata. In tutta questa alternanza di chiaro scuri, anche l’esito finale si ribalterà in modo imprevisto nella risoluzione del caso.

“Bè, magari come una quercia, pensa la donna sfinita ricordando il vecchio proverbio secondo il quale anche la quercia più grande nasce da una ghianda.”

Giustizia e verità storica, sociale, individuale. Un’attenta e ricercata narrazione in un viaggio di appartenenza, dalle radici intrinseche che intrecciano realtà scomode a cui si può sopperire con un forte senso di dignità sociale e individuale, un monito e un invito a non dimenticare e rinnovare il tutto con

Simona Trunzo

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