Recensione:"Due brave sorelle"

“Due brave sorelle” di Jean Potts, un giallo raffinato e insolito aggiunto alla collana Vintage delle edizioni "Le Assassine", che guida il lettore per tutto il romanzo con sapienza nella trama e nell’accurata introspezione psicologica dei protagonisti.

“Sabato era il giorno migliore per tutte e due: mentre Lucy non vedeva l’ora di scappare di casa, Marcia, dopo una settimana in ufficio, si godeva una giornata casalinga.”

Si apre così il sipario di un susseguirsi di atti composti da un disequilibrio instabile che appartiene a un’apparente normale vita domestica, di una normale famiglia, con protagoniste due normali sorelle.

Ma sin dalle prime righe si esplicita una realtà aggrovigliata in un gomitolo di cui è impossibile trovare il capo interno e anche l’inizio stesso di questa intricata matassa.

Si affaccia una figura paterna, meglio definita con il titolo di Sua Altezza, che nei suoi movimenti eleganti e nel suo comportamento galante cela un uomo autoritario, un despota che nonostante la sua integerrima figura tiene sotto scacco le due figlie, relegate e sconfinate nei meandri di una casa che rappresenta tutto il loro mondo e in un rapporto tale che metta in diretta funzione le proprie vite e scelte in relazione ad essa stessa.

“Tutto quello che vuoi, tesoro, te l’ho detto, appena saremo sposati ti intesto la casa. Se alle ragazze non va bene, dovranno mandarla giù. Non sono affari loro neppure con chi mi sposo. Ho il diritto di vivere la mia vita come voglio, e io la voglio con te”

Queste le parole di Sua Altezza alla sua amata infermiera, apparentemente questo comune dialogo non appare grave, invece proprio questo discorso sarà l’elemento scatenante degli eventi a seguire, perché infiamma nelle due protagoniste una sequenza di congetture astratte ma da decidere di voler concretizzare, finalizzate al determinare il delitto perfetto per ripristinare una situazione di idillio per loro e la loro vita in casa, che rappresenta tutto in fatti, emozioni e ricordi.

La casa simboleggia il nido che accoglie i membri della famiglia, con due genitori amorevoli, un porto sicuro dove potranno sempre rifugiarsi. Ma queste strutture portanti non rappresentano la casa delle due protagoniste, che vivono passivamente una situazione di sussistenza passiva, un po' perché è diventata una comfort zone, un po' perché le protagoniste non hanno mai raggiunta una forte identità personale tale per imporsi nei confronti del padre e un po' non hanno mai raggiunto una forte libertà di pensiero tale da per poter scegliere il loro quotidiano vivere.

Una gabbia dorata che assume subdolamente il volto di una prigionia, più che altro psicologica, che l’autrice Jean Potts descrive magistralmente in un’introspezione accurata non solo del profilo delle due sorelle, ma di tutti i personaggi che si incontrano durante la narrazione.

“Va bene, supponiamo che ne parlino. Il peggio che possono dire è che ho avuto una crisi isterica e ho riso quando ho sentito che era morto. Non è un crimine”.

In tutto questo avvicendarsi si palesa in modo subdolo e predominante un'altra caratteristica fondamentale che caratterizza il costume sociale di allora e di oggi, senza confini territoriali: il pettegolezzo.

Questo continuo chiacchiericcio malevole diventerà protagonista e condizionerà in modo indiscusso pensieri e azioni, insinuandosi come un pensiero ossessivo, dall’aspetto tenebroso, quasi come il voler progettare il delitto perfetto. Ma è sempre il destino a farla da padrone che interviene repentino, lasciando alle due protagoniste solo rimorso, paure, pensieri ossessivi che le renderanno vittime di un ricatto per un’azione non commessa.

Simona Trunzo

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